Cinzia Pellin è nata a Velletri (Roma) il 19 luglio 1973. Ha frequentato l’accademia di Belle Arti di Roma, diplomandosi con il massimo dei voti in Scenografia con il prof. Vanditelli. A caratterizzare sin dagli esordi l’espressione dell’artista è stata la fiducia nella pura manualità del dipingere, finalizzata tanto all’indagine del vero quanto alla sua sottile manipolazione. La sua pittura ha liberato in pochi anni un vero caleidoscopio d’immagini ricche di fascino e seduzione che, come tante schegge, si avvicinano e si allontanano nel gioco senza fine dell’esistenza Nonostante una manifesta, ed in qualche misura “sfrontata”, adesione al dato di realtà, la pittura di Cinzia Pellin sfugge sensibilmente alle categorie con cui si è soliti definire le espressioni visive contemporanee. La possibilità ad esempio di ricondurla ai linguaggi dell’iperrealismo, con cui presenta superficiali elementi di tangenza, viene vanificata da significative eccezioni rispetto alla resa mimetica del particolare, nonché da quanto l’artista proietta sulla tela del proprio sentire riguardo al soggetto. Inoltre, il suo particolare approccio al ritrarre appare strumentale alla definizione di uno stile, che intende affermarsi come unico ed immediatamente riconoscibile. A siglarlo, è l’accendersi di rossi infuocati sulle bianche superfici dei volti, inquadrati dalla pittrice secondo primi piani di tipo cinematografico e resi incompatibili con qualsiasi possibile ambiente, quando non isolati dallo stesso corpo cui appartengono. Il suo lavoro appare infatti caratterizzato da una intensa concentrazione sull’espressività femminile, che, nella visione dell’artista, ogni cosa sa alludere ed evocare; contestualmente, la rappresentazione straniante dei dettagli di volti famosi, riportati in ampie dimensioni, accenna ad un suo immaginario inoltrarsi nelle immagini delle protagoniste dello spettacolo, fino a smarrirne i contorni. Quelle di Cinzia Pellin sono però dive di cui, grazie alle facoltà introspettive della pittura, viene parzialmente annullata l’irraggiungibilità, per un istante concessa forse alle amiche ed alle donne comuni che hanno in un secondo momento fatto il loro ingresso nella sua personalissima galleria. Le une quanto le altre divengono l’occasione per generare una vera costellazione di metafore, tesa a raccontare il femminile nel contemporaneo, tra seduzioni aggressive e nascoste fragilità: oscillazioni di cui la Marilyn di warholiana memoria, personalmente riproposta, diviene credibilmente il simbolo