Graziano Pompili (Fiume, 1943), dopo l'infanzia e l'adolescenza trascorse in Romagna, vive e lavora a Reggio Emilia dal 1963 - da alcuni anni tiene anche uno studio ai piedi delle Alpi Apuane -, e si è affermato come uno degli scultori più interessanti del panorama nazionale, dapprima con le sue terrecotte frammentate e ricomposte del ciclo delle "Ri-archeologie", e poi con le sculture in marmo e in terracotta, e le lamiere incentrate sul tema e sull'immagine ancestrale della casa, intitolate "Poeticamente abita l'uomo". Questo ciclo, avviato nei primi anni Novanta, vede tuttora impegnato Pompili, per il quale il motivo, variamente declinato, della casa diventa, insieme, emblema di solitudine e di fuga dal mondo, di difesa sicura di fronte alle offese che possono venire a chi la abita e di porto, di rifugio cui sempre si può fare ritorno, simbolo che si colloca fuori del tempo e che incarna una certa visione del mondo, microcosmo che esprime una tensione verso l'assoluto. Docente di Scultura in marmo all'Accademia di Bologna e di Scultura per l'arte sacra all'Accademia di Brera - ricordiamo un ciclo di opere in terracotta, particolarmente felice e intenso, dedicato alla Via Crucis, presentato nel 2006 in una mostra personale al Palazzo Magnani di Reggio Emilia, e, nella stessa città, l'opera appena collocata nella cripta del Duomo restaurato -, Pompili può vantare un'antica passione per l'archeologia e una rara capacità di misurarsi con tutti i materiali propri della scultura, dalla terracotta a ogni tipo di marmo, dalla pietra al legno e ai metalli. Mostre di Graziano Pompili si sono tenute in Italia e all'estero, in musei pubblici e in gallerie private, e le sue opere figurano in importanti collezioni, mentre significative sono le voci della critica che hanno riservato la loro attenzione all'opera di Pompili: tra i tanti, Marco Meneguzzo, Giorgio Cortenova, Sandro Parmiggiani, Claudio Spadoni, Vittoria Coen, Walter Guadagnini, Marilena Pasquali, Valerio Dehò, Klaus Wolbert, Marco Vallora, accanto ai quali va almeno ricordato il testo partecipe che Luciano Manicardi, monaco della Comunità di Bose, ha dedicato alla Via Crucis dell'artista.